Scegliere un titolo, quando si scrive una favola è la condizione primaria per codificare in sana diacronia di scrittura, la sintesi e la metafora che la favola racchiude e contiene nella sua estensione complessiva.
Debbo ringraziare ed omaggiare un grande della narrativa europea, per i suoi ammaestramenti in tema di favole. A dieci anni, mia madre Angelina mi fece abbuffare dei più grandi scrittori di favole, da Esopo, Fedro, La Fontaine. A 20 anni m’innamorai di Gianni Rodari, uno scrittore immenso, pedagogista, giornalista e poeta, specializzato in letteratura per l’infanzia. Nel 1970, Rodari fu l’unico italiano a stravincere il prestigioso Premio Hans Christian Andersen. Rodari era straordinario e mitico per la sua capacità inventiva di intrecciare storie surreali e favole fantastiche. Nella sua collana di favole fantastiche e reali, c’è l’elenco delle “Favole al telefono”, un capolavoro di letteratura per l’infanzia. Ho fatto riferimento a questo elenco per redigere la mia favola odierna, dedicata a tutti i bambini monrealesi che vogliono ancora sognare. Nell’elenco delle favole al telefono di Rodari, mi affascinò e mi fece tanto riflettere la favola titolata “La strada che non andava in nessun posto”. La favola sintetica ed essenziale, si chiudeva con un grande insegnamento per adulti e bambini, ovvero: Certi tesori esistono soltanto per chi batte per primo una strada nuova. Nel 1975 solevo recarmi con mio padre Giovan Battista detto Titì e mia madre Angelina detta Cilù, in contrada Carrubbella a Monreale nei pressi dell’ex Park Hotel, via Umberto I.
Si trattava di visite di piacere, legate all’amicizia ed alla stima reciproca che intersecava le famiglie. I nostri amici erano proprietari di una villa fantastica che offriva una veduta panoramica della Conca d’Oro e della Palermo del tempo che fu. Mio padre non osservava mai il panorama, ma era fissato sempre a scrutare lo sbocco a valle della villa che si estendeva, essendo accessoriata di un fertilissimo terreno agricolo, nelle vicinanze dell’Albergo dei Poveri. Una benedetta domenica di luglio, dopo un lauto pranzo consumato nella villa dei nostri amici, nella pausa caffè, mio padre sbottò e disse al suo amico: “Vincenzo, tu hai un tesoro e non vuoi godertelo!” “Dimmi Titì, di che tesoro si tratta?” Mio padre sorridente e fortemente sardonico, aggiunse: “Vincenzo, tu stai bene economicamente, ma non hai fantasia.
Tutti i santi giorni devi fare salti mortali con la tua auto per raggiungere la tua villa; la via Umberto I è una via ntuppata all’andata ed al ritorno. Tu ti godi il panorama e poi devi fare il diavolo a quattro per andare al lavoro e fare ritorno a casa. Hai un terreno dritto, lineare che sbocca a valle nella panoramica Rocca-Monreale; nel giro di 20 giorni potresti realizzare una stradina di cemento che ti eviterebbe la mattina, lo slalom e gli intoppi della via Umberto I. Caro Vincenzo, con una milioncino realizzerai l’opera e non sarai più schiavo del traffico; affiderò i lavori ad amici esperti in questo settore”. Nessuno alla Carrubbella, pur avendo mezzi e possibilità finanziarie, ha realizzato mai uno sbocco alternativo alla via Umberto Primo. In conclusione, aveva ragione Rodari: Certi tesori esistono soltanto per chi batte per primo una strada nuova. Mi auguro che in Politica, da Monreale a New York, si batta una strada nuova nel rispetto di tutti i cittadini del mondo.
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