La storia di Serafina Battaglia, prima donna collaboratrice di giustizia

Sono passati 59 anni dalla sua prima denuncia

PALERMO, 31 gennaio – Quando Serafina Battaglia decide di infrangere il muro dell’omertà le fondamenta stesse di Cosa Nostra cominciano a tremare. È il 30 gennaio del 1962: l’uccisione del figlio Salvatore Lupo Leale, di soli 21 anni, la spinge a rivolgersi alle forze dell’ordine, scelta che la renderà la prima collaboratrice di giustizia donna.

Ma la storia di Serafina inizia molto prima: il suo secondo marito, Stefano Leale, è un mafioso e piccolo commerciante che viene assassinato dall’organizzazione stessa. Nella sua casa solevano riunirsi uomini d’onore di tutta la provincia di Palermo, quindi Serafina conosce bene il ruolo del suo consorte e l’identità di tutti coloro che puntualmente gli fanno visita. Da buona donna di mafia, quando diviene vedova, esorta il figlio a fare vendetta e a uccidere i responsabili della morte del patrigno. Il tentativo andrà fallito, e il ragazzo verrà assassinato a sua volta.


Da quel momento, Serafina Battaglia decide che soltanto collaborando con la magistratura potrà rendere giustizia alla sua famiglia ormai sterminata. Una figura certamente controversa, che una volta imboccata la strada della collaborazione non si fermerà davanti a nulla: testimonierà in tantissimi processi di mafia, a Perugia, Bari, Catanzaro, sempre vestita di nero, con il capo coperto e un aspetto spettrale, collaborando anche con il giudice Cesare Terranova. Purtroppo nessuno pagherà per l’uccisione del figlio: gli imputati saranno tutti assolti definitivamente per insufficienza di prove nel 1979.
“Se le donne dei morti ammazzati si decidessero a parlare così come faccio io, non per odio o per vendetta ma per sete di giustizia, la mafia in Sicilia non esisterebbe più da un pezzo”. Serafina Battaglia morirà nella sua casa, sola e dimenticata, nel 2004, dopo una vita di lotta contro la criminalità organizzata e l’omertà mafiosa, dopo aver raccontato tutto ciò che sapeva sull’onorata società. Saranno tante, dopo di lei, le donne che si ribelleranno alla mafia, come Rita Atria e Giusy Vitale.